Scritti su Oropa
Un libro che raccoglie venti saggi su Oropa eterna e multiforme
La poesia oropea campo d’indagine pressoché inesplorato
L’ultimo omaggio editoriale alla Quinta centenaria Incoronazione
Un manto di saggi cucito con il filo della poesia, ecco “Venti pensieri da antiche poesie”, volume curato da Danilo Craveia e Paolo Sorrenti, con l’apparato fotografico di Giovanni Battista Delsignore. Il libro, presentato dai curatori e dal professor Paolo Cozzo dell’Università degli Studi di Torino sabato 19 novembre 2022 a Oropa, sala Frassati, completa il trittico che Daniela Piazza Editore (stampato dalla Tipografia Botalla) ha dedicato alla Quinta centenaria Incoronazione. Dopo “Oropa bianca e nera, ma bella” e “Figli di una Regina”, è con questo collage che si conclude un lungo impegno autoriale, curatoriale ed editoriale. Gli autori dei “pezzi”, oltre ai citati curatori, sono (in ordine di comparizione): Alceste Catella, Patrizia Pivotto, Simone Riccardi, Claudia Ghiraldello, Costantino Gilardi, Riccardo Quaglia, Carlo Dezzuto, Mario Coda, Guido Gentile, Riccardo Dorna, Patrizia Bellardone, Raffaella Greppi, Pier Luigi Perino, Anna Bosazza, Carlo Gavazzi e Luca Giacomini con Gianmarco Macchieraldo. Dezzuto, Perino e Sorrenti hanno prodotto due testi ciascuno, mentre Craveia è l’autore dello scritto di connessione. Il libro esce anche con il “marchio” dell’Ente di gestione dei Sacri Monti sito UNESCO del Piemonte e della Lombardia sotto la presidenza di Francesca Giordano.
C’è e c’è sempre stata l’Oropa dei poeti. Ci sarà ancora? Tra coloro che vedranno la Sesta centenaria Incoronazione, quella dell’ultima domenica di agosto del 2120, qualcuno avrà scritto o scriverà versi per Oropa, ispirati da Oropa o a Oropa…? Due anni fa eravamo già oltre il termine secolare prefissato. L’estate del 2020 era passata e questo nuovo, odioso, compagno di viaggio che è il Covid-19 aveva cambiato la Storia. Anzi, ci ha indotti a cambiarla mettendo alla prova non solo la Fede dei devoti, ma anche l’affetto filiale dei biellesi. Un legame meno saldo avrebbe lasciato che la paura vincesse e che la tradizione si spegnesse. E invece… Le incoronazioni sono state occasioni straordinarie di aggregazione fisica e spirituale, sociale, culturale e intellettuale. Occasioni nelle quali anche la letteratura, in prosa e in versi, ha celebrato la Madonna Nera di Oropa, il suo santuario, il suo culto speciale. Rievocare e studiare quelle opere, che dal 1620 testimoniano una parte importante della “oropeità”, è tributare valore alla profondità storica e umana di Oropa. La poesia, però, ha avuto meno attenzione della prosa e, ancora meno, della copiosa storiografia oropea. Sabato prossimo sarà presentato un nuovo libro su Oropa, ma non un libro di poesia, bensì un volume sulla poesia che ha avuto Oropa come cardine e fulcro. Ma questa nuova pubblicazione è anche e soprattutto un insieme di inediti approfondimenti sulla caleidoscopica realtà che ruota da secoli attorno alla Vergine Bruna. Quattrocento pagine di antiche novità o di nuove antichità, a seconda di come le si osserva. La poesia o, meglio, un’analisi generale (ma tutt’altro che esaustiva) sulla produzione poetica oropea è il legante tra venti “pezzi” che costituiscono, sotto molti punti di vista, la nuova frontiera della bibliografia di e su Oropa. Il libro “20 pensieri da antiche poesie” ha, inoltre, due forti motivazioni di fondo: la prima è quella di non interrompere una sequenza editoriale che è propria e tipica delle incoronazioni della Madonna di Oropa, la seconda è quella di affermare la necessità, la opportunità e la possibilità di continuare a scrivere di e su Oropa indipendentemente da. L’argomento è immenso, sfaccettato, tutt’altro che privo di rinnovato e rinnovabile interesse. Nuovi lettori vogliono nuovi scrittori e la sfida di Oropa è sempre aperta. Quella specifica della poesia a maggior ragione.
Fin da quei primissimi versi che Bassiano Gatti volle inserire nella sua “Breve Relatione” (edita a Torino nel 1621) sulla Prima Incoronazione. Il frate gerolamino che visse e raccontò quell’evento epocale “ad instanza delli Deputati della Congregatione del Sacro luogo” pose all’inizio del suo libro un sonetto offerto “Alla Gloriosissima Vergine d’Oroppa”. Un esordio significativo, senza dubbio. E a quelle quattro strofe, due quartine e due terzine di endecasillabi, si torna sempre, come se tutto fosse già lì, allora, e come se quattro secoli di versi non siano stati altro che variazioni sul tema.
Madre, ò Madre, ch’ala destra assidi,
Di sol vestita de l’Eterno Figlio,
Deh, mira le mie angoscie, e ‘l mio periglio
Odi i miei preghi, e i dolorosi stridi.
Angoscia e pericolo non sono mancati in questi ultimi quattrocento anni e tuttora… Un basso continuo che ha risuonato grave nel destino di generazioni che non hanno potuto non rivolgersi alla Madre, alla Regina, pregando o gridando di dolore. Lei siede, come allora, alla destra di suo Figlio, quel Bambino benedicente con la colomba in grembo.
Tu, pur gl’afflitti, e i travagliati affidi,
Altri richiami pur da duro essiglio,
Di morte altri sottrai dal fiero artiglio,
E dal mar gli agitati in porto guidi.
Affidare significa anche dar fiducia, rassicurare, rincuorare. Ecco, nella poesia di Oropa è costante questo affidarsi a Lei. Da parte di quelli che credono, ma anche di quelli che non credono. Le si affidano anche gli scettici, proprio mentre si chiedono perché dovrebbero farlo. Perché chiedere soccorso a una statua di legno? Perché a certe domande non c’è risposta razionale. Il mistero pervade la sorte degli uomini e accade sempre, a tutti prima o poi, di aver bisogno di un luogo noto ove tornare da lontano, di un riparo contro le avversità della vita. Vita dalla quale, comunque, non vogliamo separarci. E anche per questo, si saliva e si sale a Oropa.
Da secoli udito unque non fue,
C’huom ricorresse al tuo presidio, e ‘l frutto
Di tua pietà non riportasse al fine:.
Nessuno scende da Oropa senza conforto. Beati coloro che saranno visti dai Tuoi occhi: è questa iscrizione che accoglie i fedeli nella Basilica Antica. Lo sapeva anche Bassiano Gatti:
Perciò a me piega le serene tue
Luci volgendo in fior l’acute spine,
Il timor in speranza, in gioia il lutto.
Come detto, il senso pieno e vero della poesia di Oropa parte e torna a questo sonetto, risalendo i secoli, fino al Camerana della “fosca Etiope” (la Madonna Nera “nigra sed formosa”, come nel Cantico dei Cantici fu la regina di Saba dalla corte del re Salomone) e al Deabate (che inneggia piuttosto laicamente a Quintino Sella e a Guglielmo Marconi), apparentemente i più distanti dalla devozione a cuore aperto e senza mediazione. Ma non per questo si consideri la questione chiusa, non per questo si ritenga non importante indagare l’evoluzione di un sistema di parole e di segni che, adesso, si presta sorprendentemente per connettere, cuciti come un manto, lavori proficuamente differenti. Nel novero, ampio patchwork di tessuti, di tinte e di toni diversi, c’è l’esperienza meditata di chi ha vissuto lunghi giorni al santuario “ruminando” non solo il passato del luogo, ma il senso stesso del suo esistere, e del nostro. Non è forse poesia anche questa? Non fa rima, non va a capo ogni sei parole…, ma resta una pregnanza di significato tutta poetica. C’è la storia dell’arte di oggetti prossimi e remoti, ma tutti ugualmente oropei, che dialoga con i mille versi che hanno esaltato l’arte che Oropa accoglie e crea anche oggi. C’è il metro e il timbro delle parole delle incoronazioni, tornite intingendo la penna nel calamaio e stampate su vetuste carte, e c’è la sostanza che hanno altre parole incise nella pietra e nell’anima di generazioni di “divoti accorrenti”. Anche di quelli (la maggior parte) che non hanno mai saputo che cosa volessero dire, perché ignoranti, perché illetterati. La poesia dei semplici non è scritta sulla pietra: è la pietra. Pietra che assume a sua volta la forma dei templi di Oropa: l’architettura del complesso si intreccia con le strofe in un continuo rimando di ritmi e di alternanze di chiari e di scuri, di misure e di proporzioni. C’è la Statua, che non cessa di porre interrogativi: gli storici hanno i loro, ma anche i poeti. C’è l’iconografia diffusa che svela quando e quanto la Vergine Bruna, ancora prima di imbrunire, fosse amata e invocata. C’è la devozione che si estende in altre terre e che muove a Oropa genti di altre terre. I pellegrini, quelli veri, sono tutti poeti. La fatica della strada per arrivare al Sacello è quella di chi si mette in viaggio dentro di sé, e spesso è il secondo cammino quello più arduo. Ci sono le donne al cospetto della Donna, donne che hanno scritto quando solo gli uomini lo facevano, donne che hanno riconosciuto loro stesse in quella madre, anche senza credere che fosse la Madre di Dio. C’è la memoria che vince l’oblio in quella magnifica “Oropa dei morti” oltre il Sacro Monte, la stessa che si è fatta rimembranza oltre il torrente, lungo la “Passeggiata dei preti” evocando gli eroi caduti nelle guerre. Infine, ci sono l’acqua, la terra e il cielo di Oropa, perché anche l’idro-geologia è dentro alla poesia di Oropa, e lo è ancora di più il tempo, ma non quello della meridiana o delle lancette, bensì quello meteorologico. Neve, pioggia, vento non mancano mai nei versi oropei: i primi osservatori sono stati i versificatori. E ci sono le immagini. Un libro fotografico, dunque? No, un libro iconografico. Immagini che spiegano le poesie e i saggi, e immagini che si fanno spiegare. Non poche nuove, ben realizzate alla bisogna, e altre già viste, ma proposte in contesti inediti. Questi “venti pensieri” sono l’ultima particolarissima sosta prima di un nuovo tratto di via lungo, come gli altri, cento anni. Siamo come il citato Gatti, o il Beltramo del 1720, come il Florio del 1820, come il don Arnoldi che redasse il libretto della composizione di don Magri, “La Regina delle Alpi”, nel 1920. Chi è pronto a partire porti questo libro con sé.